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Libro aperto

CARBONES

Carbones è una raccolta di poesie di Michele Sovente pubblicata nel 2002 da Garzanti. In quest’opera si afferma la poesia trilingue: Sovente alterna latino, dialetto cappellese e italiano senza uno schema preciso.

Il poeta stesso definisce la poesia “una e trina[1]”.

Ogni lingua ha una sua funzione e un suo significato:

​

  • Il latino è la lingua degli avi e del passato mitico dei Campi Flegrei. Non è un latino classico, ma è riscritto in chiave moderna, è molto musicale. Il latino che Sovente usa ha quasi un ritmo magico, è un latino che lui inventa.

  • Il dialetto è la lingua famigliare e dell’infanzia, legato alla sua terra, ovvero Cappella e i Campi Flegrei.

  • L’italiano è la lingua della letteratura e della vita, la lingua della contemporaneità.

 

Il poeta vuole analizzare dettagliatamente il significato profondo delle cose, poiché ogni lingua è espressione di un modo diverso di interpretare il reale, il racconto di una dimensione temporale diversa. Dei tre tempi fondamentali dell’esistenza, quello che domina è il Passato, che accoglie nel suo ventre sempre più vite e cose e che allunga la sua ombra anche sul Presente; quanto al Futuro, si affaccia timido e fragile.

I temi affrontati in quest’opera sono quelli legati al territorio. Leggendo i versi di Sovente possiamo notare come in ogni parola ci sia vita vera e vissuta, soprattutto quella delle sue origini, della sua terra, che continuamente racconta e che descrive utilizzando connotati precisi al fine di trasmettere al lettore il suo senso di appartenenza al territorio, come possiamo notare nella poesia A Cappella, in Via Petrara io vivo.

Come fa notare De Blasi[2], la produzione letteraria di Michele Sovente ricorda l’attività di Giovanni Pascoli, il quale utilizzava tre lingue: greco, latino, italiano. L’uso di queste tre lingue si ritrova nelle pagine di Carbones, dove le poesie in lingue diverse non occupano sezioni separate, né sono accostate come testo e traduzione a fronte, ma si distribuiscono a distanza l’una dall’altra, a differenza di Pascoli, acquistando una loro compiuta autonomia, quasi che l’autore abbia voluto presentare i testi non come derivazioni in un certo senso “secondarie” rispetto ad un originale, ma come altrettanti originali, certamente tra loro simili, ma pur sempre diversi in quanto nati in lingue diverse. Così facendo, l’autore riesce ad esprimere una forza linguistica densa e semplice.

Possiamo leggere esempi di poesie in tre lingue diverse in Divido, mentre in Cóse sta léngua sperduta è il poeta stesso che ci descrive la sua lingua. Un esempio di poesia in cui convivono più lingue è Ferragosto europeo, mentre il rapporto con la storia e il mito è evidente in Parla Agrippina.

 

 

[1] Michele Sovente, Perché scrivo in dialetto, anche, in Enne, n°89- 9/15 dicembre 1991, p.23.

[2] Nicola De Blasi, Le tre lingue poetiche di Michele Sovente, Poesia, n.170, marzo 2003.

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